NID platform 2019 a Reggio Emilia: una comunità molteplice e (ri)pensante

[vc_row][vc_column width=”3/4″][vc_single_image media=”77619″ media_width_percent=”75″ lbox_title=”yes” lbox_caption=”yes” lbox_social=”yes” media_link=”url:http%3A%2F%2Fwww.scenecontemporanee.it%2Fnid-platform-2019-reggio-emilia-comunita-molteplice-ripensante%2F||target:%20_blank|”][vc_column_text]Il riferimento ad una dimensione trasformativa e classica torna, esplicitato di nuovo nel titolo, in De rerum natura di TIR Danza (coreografo Nicola Galli). Sei danzatori “legati da un pensiero sotterraneo” che muove anche l’autore del poema latino: “raccontare l’infinita mutazione del mondo e la ciclica rigenerazione”. Questi ultimi due lavori illuminano la specificità del gesto puramente coreutico rispetto a qualunque forma di spettacolo che introduca la parola: il corpo può raccontare con immediata efficacia le dinamiche trasformative, senza passare dal potere della parola che indica, distingue, ordina. Parola che sarebbe costretta ad un avvitamento innaturale per giungere alla libertà del gesto puramente fisico che sa indicare i i conflitti senza risolverli. Forse per questo la danza è una pratica più adatta ai periodi di cambiamento: perché il corpo reagisce prima, e più efficacemente alla crisi. Tale auto-consapevolezza disciplinare muove verso l’assolutizzazione della tecnica coreografica, che non ha bisogno di altra drammaturgia se non quella corporea. Si produce così la riconoscibilità dello spettacolo di danza in senso stretto rispetto ai vari gradi di ibridazione teatrale.

De-sacralizzazione di una disciplina, o ripensamento, quindi, come indica lo slogan dell’edizione (RE)think dance, del suo ruolo civile? In tal senso è apparso illuminante il progetto GrandPrix di TIR Danza – Compagnia Simona Bertozzi/Nexus (coreografo Giuseppe Vincent Giampino), un’interrogazione esplicita rivolta proprio al rapporto fra la tradizione ballettistica e la danza post-moderna, messo in scena con un gioco coreografico sul gesto dell’iniziare. Dialogo, appunto, fra due comunità che condividono lo stesso luogo, lo stesso “pool artistico”, ma che diffondono pratiche spesso molto diverse. Quest’ultimo lavoro è andato in scena nello spazio sperimentale delle Fonderie per la sezione Open Studios, meritevole iniziativa di questa edizione di NID volta a mostrare agli operatori processi creativi ancora ampiamente in atto.[/vc_column_text][/vc_column][vc_column width=”1/4″][vc_custom_heading heading_semantic=”h4″ text_size=”h4″]Recensione[/vc_custom_heading][vc_column_text]di Andrea Zangari

www.scenecontemporanee.it
30 ottobre 2019
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