World Dance Day – i pensieri dei nostri autori

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29 aprile | GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA DANZA

 

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La danza è innanzitutto un atto politico per raccontare e celebrare il mondo attraverso il corpo.
La danza, più in generale l’arte, è il fuoco che alimenta l’immaginazione, i sogni, le passioni più segrete, i dolori e il desiderio di infinita scoperta.
È uno strumento educativo per comprendere se stessi, il proprio corpo e il rapporto con l’altro.
Praticare e insegnare danza significa istruire corpi pensanti. Chi invece scrive o si occupa di danza (coreografi, direttori artistici, critici) ha una responsabilità enorme: difendere la pluralità, la verità del corpo, la nascita dei linguaggi e tenere per mano lo spettatore in questo percorso introspettivo e comunitario.

Nicola Galli

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Viviamo in tempi in cui si parla molto e si ascolta poco. La danza è un’opportunità per ascoltare e per dare voce a corpi che senza parole possono dire tutto, andando oltre convenzioni, presupposti e preconcetti culturali e della lingua.

Le possibili relazioni fra insegnanti ed alliev*, coreograf* e performer, pubblico e interpreti, soggetti e oggetti, possono ancora essere sviscerate. Chi conduce può ascoltare di più. Chi è condott* può prendere più responsabilità per se stess*. Chi conduce può condividere maggiormente il potere. Chi è condott* può prendere il potere e usarlo disinteressatamente.

Igor e Moreno

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Più proseguo in questo percorso, più mi sento confuso e perso in un modo bellissimo.
La danza è un insieme di elementi in continua mutazione che mi emoziona e mi sfida costantemente. Produce così tanta indagine che mi è impossibile trattenerla per più di qualche secondo ed è proprio questa ricchezza ad alimentare  il gioco che conduciamo assieme da diversi anni.
Insegnante, praticante e coreografo: io mi sento semplicemente un umile viaggiatore all’interno di questa meravigliosa arte.

Manfredi Perego

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Può la danza parlare di corpi liberi di scegliere, di corpi svincolati da rapporti di potere, espressivi o di conoscenza? Forse no.
Dall’atto scenico, in quanto pratica relazionale, deriva sempre un rapporto di potere, simulato e reale, tra il corpo dello spettatore ed il corpo del performer. È una forma di libertà approssimata: in termini di scelta spettatore e performer scelgono insieme o separatamente a quale forma del potere sottomettersi.

Giuseppe Vincent Giampino

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